MAGIA E MITI
IL PENSIERO MAGICO
Un argomento che da sempre affascina gli antropologi è il pensiero magico.
La parola "magia" indica la credenza nel potere delle parole e dei gesti, attraverso i quali si metterebbero in atto tecniche che permetterebbe di cambiare il corso degli eventi.
La magia viene suddivisa in magia nera e magia bianca: la prima è distruttiva, la seconda benefica, curativa. Un'ulteriore suddivisione è quella tra magia naturale (antenata della scienza, mira a trasformare la natura) e magia cerimoniale, tecnica che si prefigge di ottenere scopi, malefici o benefici, attraverso diverse pratiche. La magia può assumere diverse sfaccettature, e per questo motivo esiste un ampio lessico a riguardo: si parla di negromanzia, divinazione, stregoneria, malocchio, incantesimo e sortilegio
I più importanti studiosi del pensiero magico sono gli inglesi James Frazer e Evans-Pritchard.
Il primo, nella sua opera "Il ramo d'oro", definisce la magia una forma di pensiero prescientifico e ne definisce due principi: il principio di similarità e il principio di contatto. Inoltre, egli propone un'altra suddivisione: quella tra magia omeopatica e magia contagiosa, entrambe rami della magia simpatica.
Evans-Pritchard studiò il popolo Azande, che spiegavano con la magia le disgrazie e le malattie. Egli definisce allora la magia come un insieme di credenze e pratiche dotate di una logica interna, consolidata nelle menti delle persone, che convive con il pensiero scientifico.
IL RACCONTO MITICO
I miti sono narrazioni che esprimono in un linguaggio fantasioso temi fondamentali, e per questo sono definiti anche "racconti fondativi", perché in molti casi servono a spiegare o giustificare una determinata situazione. Mentre questa spiegazione andrebbe bene per le culture prive di scrittura, nelle società che hanno elaborato un pensiero scientifico i miti sono solo delle favole da raccontare ai più piccoli.
L'antropologo Claude-Levi Strauss, nel ciclo delle Mitologiche composto da quattro volumi, studiò la grammatica dei miti: egli identifica infatti quelli che chiama "mitemi", ovvero dei punti fermi su cui la grande maggioranza dei miti si basano; esempi possono essere il bambino rapito dall'orco, la lotta vittoriosa contro il mostro, la nascita di gemelli da due padri diversi o il viaggio irto di pericoli.
LA DIMENSIONE CULTURALE DELLA MALATTIA
Particolarmente interessante è lo studio etnologico delle malattie mentali condotto dall'etnopsichiatria, un'area disciplinare che studia i disturbi psicologici in relazione al luogo e alla cultura in cui si manifesta, analizzando il ruolo del contesto culturale nella manifestazione di sintomi, cercando di capire in che modo il disturbo è interpretato nella determinata società.
Da ricerche sul campo è scaturita l'esistenza di disturbi etnici, ovvero di disturbi psicologici che non hanno riscontro al di fuori di una determinata cultura.
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